La motivazione è come il caffè - Capitolo 1
La motivazione è come il caffè, ne hai bisogno ogni giorno per darti la carica, per innescare la scintilla della voglia di fare che a volte, da sola non si accende. Ecco perché vengo al bar, per ricaricarmi, ritrovare il ritmo delle mie cose, dedicarmi un momento di relax, coccole al gusto di latte: sì, perché per me, il caffè deve essere rigorosamente macchiato, oppure corretto, all’occorrenza.
L’amore per il bar è nato in me grazie a mia nonna, quando ero piccola mi portava spesso a quello del suo paese, era sempre allegra quando andavamo in centro, non vedeva l’ora di sedersi in pace e gustare brioches e cappuccino:
“Aggiungo un po’ di cacao sul cappuccio?”
In un certo senso, era come se al bar le persone fossero sempre di buon umore, anche solo per apparenza ma, a me non importava perché, la cosa di cui avevo più bisogno era vedere gente allegra, spensierata, che si dava la carica con un caffè o un buon bicchiere di bianco.
Oltre la porta di quel mondo protetto mi aspettavano la scuola, i litigi dei miei genitori, la solitudine… ogni volta pagare il conto e uscire era come vedere la scritta “Fine” al cinema di un film che ti è piaciuto tantissimo, come finire un libro che non vorresti mai riporre, come salutare un amico che non vorresti mai lasciare andar via.
Ogni tanto mi chiedevo se da grande mi sarebbe piaciuto avere un bar tutto mio dove regalare alle persone momenti di svago e comprensione ma, ho sempre amato di più essere la cliente, visitare tanti bar in luoghi diversi e non essere legata ad un posto specifico e unico per tutta la vita.
Sono passati parecchi anni da quando andavo da piccola al bar ma i ricordi sono nitidi nella mia mente come se fosse trascorso solo un giorno;
ricordo soprattutto le macchie sulle maglie di mia nonna all’altezza del suo generoso décolleté che si procurava ogni volta con il cioccolato o la marmellata della brioche.
Se chiudo gli occhi rivedo quella signora elegante, sempre impeccabile quando usciva con i suoi capelli in ordine, il trucco leggero con la cipria obbligatoria, le unghie tinte di rosso, che si rilassa e ride rumorosamente seduta al solito tavolino del bar, quello vicino all’espositore delle caramelle posto accanto alla vetrina che dava sulla strada.
L’immagine di mia nonna al bar è sempre stata per me, simbolo di leggerezza, come se lei avesse voluto lasciarmi un messaggio da non sottovalutare ovvero, che oltre al dovere, noi esseri umani ci dobbiamo regalare anche il piacere perché siamo qui per godere di ogni istante, non siamo qui solo per lavorare sodo e faticare.
I miei parenti mi dicono che assomiglio molto a mia nonna, da lei ho ereditato la mania per l’ordine e la pulizia, la paura della velocità in macchina, la passione per “Via col vento” e la voglia irrefrenabile di andare al bar per prendere un caffè.
Lei al bar ci andava con le amiche o con me, io ci sono andata per anni con la mia cagnolina, il mio “Tesoro”, di nome e di fatto. Tesoro è stata la mia compagna di viaggio, la spalla su cui piangere, il mio alibi per mangiare una brioche in più perché tanto, anche se non avrei dovuto, le regalavo un pezzetto, la facevo felice e mi sentivo meno in colpa.
Tesoro ed io abbiamo viaggiato molto, soprattutto in Francia, abbiamo visitato luoghi meravigliosi, bar di ogni genere; mi è stata regalata da mio figlio dopo che sono rimasta vedova. La morte di mio marito, scomparso all’improvviso, mi aveva lasciato un senso di vuoto terribile, il nostro era un grande amore, fatto di piccoli ma importantissimi gesti. La notte non riuscivo più a dormire finché è arrivata lei, la mia Tesoro, che ha dormito con me per 15 lunghi anni.
Mentre scrivo, mi ricordo che di anni oggi ne ho 85, ma davvero?
Nel senso, mi chiedo come è potuto trascorrere tutto questo tempo e soprattutto come faccio a sentirmi ancora così piena di vita e di voglia di fare; sarà il caffè che continuo a prendere, ovviamente macchiato e ovviamente al bar.
Tesoro, già, è morta di vecchiaia, era una favolosa meticcia di color champagne, dolce e riservata, dal pelo morbidissimo, me ne prendevo cura come una figlia e chi ha avuto o possiede un animale domestico sa cosa intendo quando dico che io e lei ci comprendevamo alla perfezione.
I nostri ritmi erano coordinati come i battiti dei nostri cuori, le leggevo le storie, passeggiavamo nella natura, guardavamo i film d’amore e ci facevamo le coccole per un tempo indefinito. Sì è vero, gli animali non hanno la parola ma a loro non serve, con gli occhi e i loro gesti lenti, ti dicono tutto ciò che è importante sapere.
Ogni volta che entravamo in un bar diverso, lei cominciava ad annusare ogni elemento alla portata di naso, scrutava la sala e mi indirizzava verso il tavolino che sceglieva come il migliore, si metteva comoda in mezzo ai miei piedi aspettando l’arrivo del pezzettino di brioche o toast che abitualmente consumavo per i miei pranzi veloci con l’immancabile spremuta d’arancia.
Un giorno, ha cominciato a non volere più salire sul letto, a fare tutto molto lentamente, non mi ci è voluto molto per capire che stava piano piano decidendo di salutare questo mondo e il suo compito di fedele mia compagna e amica speciale.
Se ne è andata una mattina presto, senza disturbare, si è addormentata avvolta nella sua copertina e con la dolcezza e il tatto che l’hanno contraddistinta in vita, mi ha guardata un’ultima volta prima di percorrere il ponte dell’arcobaleno. Ho cominciato a piangere come non facevo dalla morte di mio marito, mi sono ritrovata sola, di nuovo, rivivendo nella mente un pezzo di vita bellissimo volato via in un secondo, insieme all’anima della mia splendida “Tesoro”.
Con quel poco di lucidità che mi era rimasta, sono andata ad aprire un cassetto dell’ingresso, sapevo che prima o poi avrei dovuto farlo ma speravo di tenerlo chiuso ancora un po’.